La resurrezione è stata ben compresa dagli yogi più esperti dell'India fin dall'alba dei tempi più remoti. Gesù stesso era uno yogi realizzato: uno che conosceva e aveva padroneggiato la scienza spirituale della vita e della morte, della comunione con Dio e dell'unione con Dio, uno che conosceva il metodo di liberazione dall'illusione per entrare nel regno di Dio. Gesù dimostrò durante la sua vita e la sua morte il suo potere di completa padronanza del corpo e della mente e delle forze della natura, spesso recalcitranti. Comprendiamo la resurrezione nel suo vero senso quando comprendiamo la scienza dello yoga che definisce chiaramente i principi fondamentali attraverso i quali Gesù resuscitò il suo corpo crocifisso nella libertà e nella luce di Dio.
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Il capitolo 14 della Bhagavad Gita, intitolato "Gunatraya Vibhaga Yoga" o "Lo Yoga del discernimento delle Tre Qualità", è uno dei capitoli centrali del testo, in cui Krishna spiega ad Arjuna le tre qualità (guna) della natura materiale: Sattva (purezza, armonia), Rajas (passione, attività) e Tamas (ignoranza, inerzia).
All’inizio del capitolo Krishna dichiara ad Arjuna che sta per esporgli la saggezza suprema, conosciuta la quale ci si stabilisce nel Suo Essere e si ottiene la liberazione finale, per cui non ci si deve più reincarnare, nemmeno dopo la grande Pralaya o dissoluzione finale, con l’inizio di un nuovo ciclo.
Tutto ciò che è in esistenza su questo piano nasce dall’interazione tra Purusha e Prakriti, Spirito e Natura, che sono i genitori di ogni cosa e ogni essere.
La felicità che Dio ci dona è molto più grande di qualsiasi cosa il mondo possa offrire. La Gioia divina dura per sempre, è eterna. Quando qualsiasi altra cosa svanisce, quella gioia rimane.
Nello Yoga si parla generalmente di Viparita Karani come di una vera e propria posizione, simile a Sarvangasana, in cui siamo appoggiati sulle spalle, il busto e le gambe in alto e le mani appoggiate alla zona lombo sacrale a sorreggerli.
A livello più sottile Viparita Karani è un Mudra, un sigillo, un gesto simbolico e potente utilizzato per veicolare il prana verso i centri sottili del cervello e favorire il risveglio della Kundalini, il serpente energetico dormiente alla base della sushumna o spina dorsale esoterica.
Se consideriamo però il significato di Viparita Karani, ossia processo invertito, possiamo riflettere sul fatto che tutto il nostro cammino spirituale e di ricerca interiore si basa su questo principio.
Fin quando, infatti, l’essere umano non intraprende un serio lavoro su di sé o sadhana, egli tende a essere trasportato per inerzia verso l’esterno e verso la materia.
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Nel Kriya Yoga diamo grandissima importanza al lavoro sul respiro, attraverso pratiche di pranayama specifiche e potenti. Questo perché la mente, il respiro e il prana sono strettamente collegati tra loro e, lavorando sul respiro, che è il ponte di collegamento tra gli altri due, noi riusciamo a calmare e indirizzare verso i giusti canali anche la mente e il prana.
Nel Kriya Yoga inoltre lavoriamo sul flusso del prana nella spina dorsale, canalizzandolo costantemente in dentro e verso l’alto. Questo crea all’inizio una frizione contraria alla “normalità”.
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